giovedì 1 maggio 2014

Gli specchi e la riflessione

Ora apprendi perché l’immagine si veda al di là dello specchio; ché certo appare nel fondo lontana. È come nelle cose che si vedono fuori d’un uscio, quando una porta offre attraverso a sé una prospettiva aperta, e molti oggetti lascia scorgere dalla casa all’esterno.

Nunc age, cur ultra speculum videatur imago
percipe; nam certe penitus semota videtur.
Quod genus illa foris quae vere transpiciuntur,
ianua cum per se transpectum praebet apertum, 

multa facitque foris ex aedibus ut videantur.

 
IV, vv. 269-273 (p. 277)
 
Attraverso una similitudine, Lucrezio si imbatte nella spiegazione della riflessione ottica. Egli suppone che “gli oggetti specchiati sembrano posti dietro lo specchio, perché una duplice corrente d’aria, compresa fra l’oggetto e lo specchio e fra questo e noi, è spinta nei nostri occhi dall’immagine” (Armando Fellin). Il fenomeno fisico della riflessione venne in seguito scientificamente studiato con la scoperta delle onde elettromagnetiche. Ma al di là di questo, è interessante l’utilizzo del vocabolo speculum. Se con esso si alludeva ad una generale superficie riflettente, non era così scontato averla quotidianamente a portata di mano. Le civiltà più antiche utilizzavano pietre assai levigate, come per esempio l’ossidiana, un vetro vulcanico la cui formazione è dovuta al rapido raffreddamento della lava. Successivamente vennero impiegate lastre di metallo perfettamente lucidate: in particolare il bronzo in Egitto, il rame in Grecia e l’argento presso i Romani. Gli specchi di vetro, come tuttora intesi, furono un’invenzione, databile tra il X e l’VIII secolo a.C., dei Fenici. Quest’ultimo modello si diffonderà nella civiltà latina solo in epoca imperiale. Una delle facce della lastra era ricoperta da piombo che, annerendo il fondo, trasformava il vetro in uno specchio.

Figura 1 Specchio in bronzo appartenente al corredo di una tomba ritrovato presso il colle del Piccolo San Bernardo

Questi oggetti d’altra parte avevano anche un utilizzo bellico: la leggenda narra che Archimede abbia costruito degli “specchi ustori” con i quali, concentrando i raggi paralleli provenienti dal Sole in un punto, avrebbe bruciato le navi romane durante l’assedio di Siracusa (Galeno di Pergamo, 129 d.C. – 216 d.C., De temperamentis).

Figura 2 Incisione raffigurante la leggenda degli specchi ustori di Archimede





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