venerdì 9 maggio 2014

Misure per contrastare Nettuno ed Eolo

La nave che ci porta fila rapida e sembra star ferma; quella ormeggiata sull’àncora diremmo che avanti a noi passi.

Qua vehimur navi, fertur, cum stare videtur;
quae manet in statione, ea praeter creditur ire.

IV, vv. 387-388 (pp. 284-285)

Dal momento in cui furono ideati i primi prototipi di imbarcazioni nacque l’esigenza di trovare un modo per immobilizzarle, sia in prossimità della costa sia in mare aperto. Il termine “ancora” viene dal vocabolo greco ἄγκυρα (Pindaro, 522 a.C.). La primissime ancore erano costituite essenzialmente da un sasso di modeste dimensioni che assicurava ciò grazie all’attrito determinato dal proprio peso. Le testimonianze più antiche, appartenenti alla civiltà egizia, risalgono al 2800 a.C. per quanto concerne la pittura tombale, mentre sono stati ritrovati reperti litici votivi nei templi della XII dinastia faraonica (2000 a.C.) assimilabili a vere e proprie ancore. Questo fatto è confermato dal perenne rapporto tra marinaio e divinità che gli “assicurava” la riuscita dell’impresa. Le pietre di fondo, sempre in evoluzione per quanto riguardava la forma, furono via via perfezionate con modelli che fossero in grado, in aggiunta all’effetto di gravità, di esercitare una certa presa sul fondale attraverso l’utilizzo del legno e dei metalli. Poiché dapprima si ignoravano le tecniche per battere una grossa massa di ferro veniva adoperato un grande fusto di legno riempito con del piombo, inoltre solo in un secondo tempo si passò ad applicare da uno a due bracci terminanti con una paletta di forma triangolare.

Figura 1 Ancora presumibilmente ellenica o romana (II secolo a.C. – II secolo)

 
Un’importante testimonianza è quella riportata nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio (VII, 209).

I Fenici trovarono l’osservazione delle stelle nel navigare, […] i Tasii le navi lunghe coperte: prima si combatteva solamente da prua e da poppa. Piseo Toscano v’aggiunse le punte, Eupalamo l’ancora, cui Anacarsi fece di due denti.
trad. it. di Lodovico Domenichi (1844)

Egli cita due personaggi: Eupalamo, figura miologica greca, secondo alcune fonti padre di Dedalo, e Anacarsi, uno dei sette savi della Grecia antica.   


Figura 2 Antica ancora rinvenuta presso il lago laziale di Nemi

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