venerdì 30 maggio 2014

Un regalo di Libero ai mortali

Dicono che Cerere il grano e Libero il liquore tratto dal succo della vite abbiano fornito ai mortali;

Namque Ceres fertur Fruges Liberque liquoris
vitigeni laticem mortalibus instituisse,

V, vv. 14-15 (p. 335)
 
 
Sebbene in questo paio di versi non compaia esattamente alcun riferimento ad un elemento tecnologico, si evince un'informazione importante: la produzione vinicola latina. Essendo stata la vite inizialmente una pianta spontanea, vi sono testimonianze circa l'utilizzo del vino sin dal neolitico, laddove probabilmente si assisteva a fermentazioni spontanee dovute al riponimento dei grappoli in adeguati contenitori. Nella tradizione romana le uve venivano inizialmente pigiate con i piedi in tinozze o vasche in muratura od in muratura (calcatorium) a cui seguiva una doppia pressatura del mosto attraverso un torchio a leva. Il passo successivo era la decantazione ed una grossolana filtrazione attraverso dei panieri in vimini, per poi essere riposto a fermentare in dei recipienti panciuti di terracotta chiamati dolia. Infine, per eliminare la torbidezza del liquido ottenuto venivano spesso impiegati come additivi o bianchi d'uovo montati a neve o latte fresco di capra.

Figura Palmento di epoca romana nei pressi di Belvedere Marittimo

Due grandi testimoni dell'aspetto enologico nell'antichità latina furono Catone (234-149 a.C.) e Columella. Dal primo si evince la produzione di un "vino" scadente, destinato agli schiavi, ottenuto attraverso l'allungamento delle vinacce con acqua e la seguente fermentazione del miscuglio; nel manuale di agricoltura del secondo (65 a.C.), invece, vi è una critica alla qualità della produzione vinicola romana dal momento che, secondo l'autore, veniva trascurata la potatura dei vitigni, cosa che induceva raccolti troppo abbondanti. 

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